Branding e Arti visive - 2 Ottobre 2019

Un’opera d’arte visiva realizzata anche per non essere esposta

Ci troviamo a Madrid, in una tenuta di campagna ad ovest della città spagnola. Nel 1819 questa residenza, la quinta del sordo, viene acquistata da Goya che, in questi anni postnapoleonici oramai ultra settantenne, sceglie di allontanarsi dalla corte spagnola.

Ripercorro i due anni più bui della vita di questo artista, che in completa sordità dal 1820 al 1821 realizza, con totale lucidità mentale e un approccio dialettico con il proprio Io, il ciclo delle pitture nere: 14 murales ad olio su gesso.

Con le pitture nere Goya dipinge per se stesso, non immagina un pubblico, non lo vuole e non gli interessa. Non vuole comunicare con nessuno se non con se stesso. Una ricerca oltre lo stile e il confronto di cui Goya si fa precursore.

Difatti, dalla quinta del sordo, Goya se ne frega dell'arte ufficiale del Salon, dell' artista che espone in maniera indipendente, degli artisti che accomunano gli stili e da quel sistema dell'arte, che nascerà da lì a poco, che cerca lo spettatore compratore e collezionista.

A cosa serve un'opera d'arte visiva se viene realizzata anche con lo scopo di non essere esposta?

Innanzitutto l'opera di Goya non é un'opera creativa. Le pitture nere non sono state generate dall'animo creativo dell'uomo ma dall'inquietudine dell'artista cosciente di dover produrre Arte per assuefare le proprie visioni. Le pitture nere sono un colloquio incessante e frenetico con i mostri più profondi del subconscio dell'artista.Un''arte quindi che non ha bisogno di consensi, che non ha bisogno di essere valutata se non dall'artista che la genera.

In tal senso l'arte di Goya in questo biennio, seppur nutrita da un alto grado relazionale, é asociale per differenziazione cognitiva, é comunicazione esperienziale e polisensoriale che accoglie solo l'interlocutore coraggioso (ci vuole coraggio per leggere le pitture nere), volenteroso di percorrere l'animo più razionale e antiscenico dell'artista.