Buona lettura
Vittorio
Tra innovazione e incertezze
La tecnologia sta ridefinendo il modo in cui viviamo, lavoriamo e comunichiamo. L’intelligenza artificiale accelera i processi, sostituisce mansioni, apre scenari inediti. L’economia globale è instabile, frammentata. Nuovi equilibri geopolitici, crisi energetiche, dazi, anti-dazi e super xazzi. Ricorso all’armamento, inflazione e cambiamenti nei modelli di consumo. La crescita non è più un percorso lineare, ma un adattamento continuo. In questo scenario, i brand che sopravvivono non sono quelli più forti, ma quelli più flessibili, resilienti, compatibili con il cambiamento.
Ma a quale cambiamento mi riferisco?
A quello invocato dalla woke culture, che spinge per inclusione, equità, consapevolezza sociale? O a quello della reazione anti-woke, che oggi sembra consolidarsi più che mai? Viviamo in un tempo in cui si alzano muri: dazi su dazi, barriere culturali, polarizzazioni perentorie. C’è chi prova a vedere la Striscia di Gaza come meta turistica mentre erige statue dorate a simboli di un potere che divide. L’immaginario collettivo oscilla tra satira e distopia, tra apatia e idolatria. Ci stiamo dirigendo verso una polarizzazione sempre più netta tra chi sceglie la valorizzazione delle diversità e chi la vede come ambiguità. Perentoria inutilità.
A mio avviso, oggi più che mai, emerge il bisogno di umanità, di autenticità, di connessione vera. Le persone vogliono significato. Il consumo non è più solo una scelta economica, ma culturale. I brand non vengono più solo comprati: vengono scelti, perché condividono una visione, perché rispondono a un bisogno di identità.
Bisogna prendere posizione
Non basta più produrre e vendere: bisogna prendere posizione, creare valore. Chi pensa ancora in termini di business separato dalla società è destinato a fallire.
In un mondo che polarizza, i brand che scelgono di unire sono quelli che lasciano il segno. Qualche esempio?
Patagonia non vende solo giacche: semina futuro, investendo gli utili nella difesa del pianeta e restituendo alla natura ciò che l’uomo le sottrae. Ben & Jerry’s non produce solo gelati: denuncia le ingiustizie sociali, scende in strada, prende posizione. C’è Rose Marcario, ex CEO di Patagonia, che parla di “just business” come unica strada per un capitalismo più equo; e Hamdi Ulukaya, fondatore di Chobani, scrive: non serve un nuovo business plan, serve un nuovo cuore per fare impresa.
E ci sono migliaia di piccoli imprenditori e imprenditrici, artigiani del cambiamento silenzioso, che ogni giorno scelgono la coerenza alla convenienza. – E io, tra loro, mi sento a casa.
Non sappiamo con certezza dove ci stiamo dirigendo. Ma possiamo decidere come andarci. Possiamo scegliere di portare con noi ciò che ci rende umani: la cura, la visione e il coraggio di prendere posizione in qualunque modo.
Ogni scelta è una dichiarazione di intenti. E ogni brand, piccolo o grande che sia, ha la possibilità di essere più di un prodotto: può essere un segno. Un messaggio. Un cambiamento in atto.