Catrami
Un taglio
e fili sparsi ovunque.
Ricordo occhi spenti
e la stessa carne attaccata alle ossa.
Se fossi io?
Non curarmi
ti prego.
Ci siamo tenuti per mano
Accarezzati
Abbiamo giocato insieme
come se ci conoscessimo
da tempo
E’ successo una notte
e mai più.
Percuoti il vuoto.
Cerca esemplari perfetti
– quelli senza tormenti –
Inconsapevoli vittime.
Occhi da esplorare.
Coscienze senza eccessi.
Ad un anno di distanza,
ancora distanza.
Il minuto di silenzio
è silenzio che urla
è timore che scuote
è tumore che non vale
è vuoto e imbarazzo
è pensare e sperare.
Insegnami a volare
a guardare lontano
a respirare di gusto.
Insegnami a nuotare
a respirare diverso.
Scollegato e ad occhi aperti
vivo una vita che mi appartiene poco.
Voglio essere un barbone
non curarmi di nessuno.
Voglio camminare come un pazzo senza meta in uno spazio bianco senza pareti.
Scollegato e senza rimorsi
vuoto e impossibile da riempire
voglio essere solitudine senza me stesso.
Non cerco sogni
Solo timide carezze
Una mano bianca che mi sfiori le guance
Una mano forte che mi stringa la mano
Uno sguardo sincero che possa indicarmi la strada
Seppur rotta, sterrata, disagiata
Con acqua torbida e maleodorante.
Purché sia calda, assolata
Di un colore che riempi il cuore
e svuoti la mente.
Sei nel cuore
e nello spazio di una parete bianca.
Eri ossa, carne e sangue.
Eri sincero
acustico a bocca chiusa
nudo nella sofferenza
forte nella solitudine
pacato, scavato e sorridente.
Eri coraggioso.
Sei ricordo e illusione di poter godere del tuo ultimo respiro.
Quello mancato.
Un sorriso sul dolore
E poi, labbra da bagnare.
Sete e vomito.
Gambe gonfie
– piene d’acqua –
E ancora sete e vomito.
La vista scompare
– l’immagine è più chiara –
La paura viva
Come il sangue appena vomitato.
La terra trema
Tu immobile e fredda
come marmo appena levigato.
Il cuore batte
Il sangue scorre
Lento
Lento
Lento
Lento
Come il tuo respiro.
Da vicino ti guardo e giuro che faccio fatica.
Eri fredda e assetata.
Scheletrica e pure gonfia.
Smorta, rarefatta, intorpidita, ferita.
Dal sorriso sincero e sanguinante.
Saperti fotografare mi avrebbe salvato dal tormento.
Ho indossato la cravatta di mio padre
quella a cerchi e poi quella verde.
Da bambino, di sera,
correvo giù e poi nel suo lettone.
La notte era meno fredda.
Da ragazzo, per l’Accademia,
indossavo il suo il giubbotto.
Quello blu, quello caldo.
D’estate, dopo il lavoro,
la birra ci teneva compagnia
e anche il silenzio sapeva parlare.
Viviamo di sogni
e fantasie che pretendono il vero.
I social, gli ombrelloni,
la luce di notte
e il calore del vento di luglio 2015.
Ti ricordi di me?
Potresti chiederlo un giorno.
Ci difenderemo ascoltando il colore sulla pelle.
E fu quando le acque calarono che scoprimmo i resti
Lo vivemmo!
Fu come piangere e arrossire
Fu come / rivedersi diversi
dopo anni guardarsi negli occhi
per poi svenire
poco prima del bacio.