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Dimmi che andrà tutto bene.

La rassicurazione come dovere dei brand.

Ottobre 1, 2025

Viviamo tempi incerti – bui direi – nei quali la parola più cercata – spesso taciuta – è rassicurazione.

Un bisogno universale che accomuna la sfera privata e quella collettiva: sapere che, nonostante tutto, possiamo contare su qualcuno o qualcosa.

Per questo anche i brand hanno un dovere che va oltre la performance: diventare presenze affidabili, capaci di trasmettere fiducia e di sostenere le persone nei momenti di instabilità.

Buona lettura

Vittorio

Dimmi che andrà tutto bene

È la richiesta che Katharina, nella serie Dark su Netflix, rivolge a Ulrich – suo marito – nei momenti di sconforto.

Tutti, prima o poi, viviamo questa sensazione. Possiamo chiederla alla persona a noi più vicina o tenerla dentro, ma in un modo o nell’altro tutti abbiamo bisogno di essere rassicurati.

La rassicurazione fa parte dei doveri di un brand, perché risponde a uno dei bisogni umani più profondi. È una promessa implicita che dice: “Puoi contare su di me, anche nei momenti di maggiore instabilità.”

Lo abbiamo vissuto durante la pandemia: “Andrà tutto bene” è risuonata ovunque, raggiungendo ognuno di noi attraverso un visual che apparteneva già alla memoria collettiva.

L’arcobaleno disegnato a mano – ha funzionato come un’icona rassicurante perché ha attinto a simboli universali: colori semplici, immediati, infantili, capaci di evocare protezione e speranza.

Non sono serviti loghi o slogan sofisticati: è bastato un segno condiviso, riconoscibile da tutti, che trasmettesse fiducia.

Ecco una prima lezione a margine:

un visual rassicurante non è mai solo estetica e la semplicità comunicativa, il più delle volte, non è mai banalità. Il nostro lavoro è tradurre in un linguaggio emotivo ciò che rende tangibile una promessa.

Scegliamo i luoghi di applicazione.

Se spostassimo la storia di Katharina e Ulrich a Gaza? Immagina una donna, che abbraccia suo marito per chiedergli “dimmi che andrà tutto bene”.

Come i protagonisti della serie, entrambi sanno che quella frase non può essere una promessa, ma una fragile illusione.

Ognuno di noi ha bisogno di rassicurazione ma questa deve collocarsi in una realtà vera e possibile. E a Gaza – scusatemi – è morta anche la speranza.

In quel luogo non esiste un brand, un punto di riferimento a cui aggrapparsi, un uomo, una donna, un’organizzazione, un’entità vivente da abbracciare e a cui chiedere “dimmi che andrà tutto bene” e dalla quale ricevere anche la più labile delle rassicurazioni.

I doveri di un brand

Abbiamo bisogno di brand in carne e ossa, in grado di offrire rassicurazione, conforto, benevolenza, sensibilità e soluzioni concrete che sappiano nutrire corpo e animo. Brand raggiungibili, da toccare con mano, che sanno ascoltare e rispondere davvero.

Abbiamo bisogno di brand “puliti”, che sappiano mettere al primo posto il benessere altrui, marche che considerano il profitto la risorsa per lo sviluppo dell’uomo visto nella sua totalità.

Abbiamo bisogno di brand umani che sappiano salvaguardare l’umanità laddove è messa in pericolo, attraverso una visione antropocentrica, nella quale la persona è, sempre e comunque, il principale fulcro per lo sviluppo economico, sociale e culturale di questo spazio che chiamiamo ancora mondo.