Arti visive | 10 Agosto 2023

Dentro e Fuori il sistema dell’arte – Collettiva al PAN Palazzo della Arti di Napoli

Come orientarsi in questo nuovo millennio davanti all’abbattimento del filtro dell’intermediazione degli addetti ai lavori ad opera di applicazioni e social media?

La differenza tra l’artista e il dilettante sta nel ragionamento e nella teoria, l’artista è in grado di spiegare il suo lavoro privo di filtri e intermediazioni, conosce il lavoro di chi l’ha preceduto e dei suoi contemporanei e su queste basi instaura un confronto dialettico e linguistico di senso; il riconoscimento della critica o delle istituzioni davanti a questo conta poco o nulla.

Quello che conta realmente è lo sguardo dell’altro, il sapere riconoscere l’esistenza dell’altro, la tensione emozionale che nasce dalla relazione con altre persone.

 

L’artista è in grado di padroneggiare la propria follia, è un maestro della sua follia, per questo da questo secolo in poi, a decidere chi è o non è un artista, non sarà più un critico, ma la psicoterapia e la psichiatria scinderanno tra chi è artista e chi non lo è perché incapace di padroneggiare la propria follia. […]

Chi è un artista?

Non si sbaglia a fidarsi di chi ha compiuto percorsi regolari di studio e di settore (Licei Artistici ed Accademie di Belle Arti, dovunque si trovino non mentono) ma non solo, chi ha ottenuto qualche riconoscimento pubblico o privato, forza maggiore è un professionista “esistente”, docenti e curatori per forza hanno un rapporto e una relazione con i linguaggi dell’arte (che non dovrebbe essere faziosa), chi si è riuscito ad “imbucare” in prestigiose gallerie o collezioni ha un lavoro che si vede.

Non escluderei neanche chi trasversalmente si muove da un linguaggio artistico ad un altro, le avanguardie artistiche del novecento già teorizzavano una sfera cognitiva creativa totale, in grado di muoversi da un universo linguistico dell’arte ad un altro, l’idea che lo strumento sia questo o quel linguaggio dell’arte da utilizzare con i “contenuti” umani dell’artista in relazione ai suoi obiettivi emotivi, empatici ed endogeni.

Su questi ultimi, stiamo focalizzando il nostro focus tematico espositivo, attraverso la loro ricerca trasversale e laterale ci stiamo interrogando su quanto la “specializzazione culturale industriale” del secolo passato, limiti realmente la sfera creativa e cognitiva di un artista che sappia connettere diversi linguaggi dell’arte, un artista in grado di attraversarli per sondare la sua esperienza e ricerca umana, prescindendo dal suo “lavoro”.

Tutti gli artisti visivi in mostra, sono delle eccellenze nella loro professione, legata per convenzione ad un altro linguaggio dell’arte (quello della musica più o meno pop, quello del teatro, del cabaret, della comunicazione…), ma non era proprio stato l’inizio del secolo scorso ad abbattere i limiti del linguaggio artistico?

Kandinskij e Schonberg non si scambiavano informazioni e connessioni di ricerca tra il processo performatico e gestuale creativo visivo e musicale?

Futuristi e Dadaisti non erano forse anche dei provocatori da cabaret e dei teatranti?

La macchina intonarumori di Luigi Russolo non la ricorda più nessuno?

A questo punto, vi presento gli artisti in mostra che hanno accettato di esporre la loro ricerca, sostenuta dal loro lavoro, mettendo in discussione anche il loro universo professionale ed artistico principale in quanto lavoro e forma d’introito economico, forza maggiore inquadrato in un ambito produttivo ed economico imposto ed indotto dall’industria culturale.

Provate a definire il loro approccio alle arti visive non seriamente e sinceramente di ricerca; provateci a dare loro dei dilettanti, sareste solo disonesti intellettualmente e vittime di un approccio ai linguaggi dell’arte circoscritto, limitante  e limitato.

A questo punto ve li presento uno ad uno, consapevole del fatto che li conoscete già come professionisti dell’arte, della cultura e dello spettacolo, ma non come artisti visivi o figurativi, e di questa vostra ignoranza rispetto la completezza delle loro protesi creative la colpa non è certo la loro (e neanche la vostra):

Tony Esposito, chi non lo conosce?

Artista percussionista esploso nel industria culturale musicale pop anni ottanta con “Kalimba de luna”, difficile trovare nella pianeta terra un post quarantenne che non l’abbia ascoltata e ballata, quanto ha “viaggiato” Tony Esposito?  Quanto è contaminato linguisticamente e culturalmente?  Di fatto è una pietra miliare della musica pop italiana, ma anche della storia locale della musica partenopea underground di ricerca passata tra gli anni settanta ed ottanta per “Napoli Centrale” Pochi sanno del suo rapporto di stima e sincera amicizia con Mark Kostabi (proprio lui, quello dei mille quadri al giorno realizzati da altri e firmati da lui), pochi sanno quanto si diverta ad improvvisare musicalmente accompagnato al piano da Mark Kostabi, perché vincolare entrambi al ruolo del “artista di genere” di professione?  Perché limitarli ed incasellarli culturalmente in strategie di marketing che mirano a fare di una particella frammentaria della loro ricerca di arte e di vita, prodotto culturale di consumo di massa?

Provate a dire di non conoscere Francesco Paolantoni, showman, attore e cabarettista nazional popolare.

Quanti di voi sanno che nel 2014 ha cominciato a “produrre” mosaici tridimensionali con cubetti di pane ed argilla che in maniera colta, ha lui stesso definito, senza nessuna intermediazione e delega critica, Dadaettismo? Nel nome della sua dialettica artistica la sua ricerca è approdata al Pan di Napoli, allo Studio Morra e nella Galleria Serio ed anche ad una partecipazione alla Biennale di Venezia, quanti artisti visivi di professione e di formazione (ma esistono sul serio?) possono vantare un percorso così celere nel’ iperspecializzato “mondo delle arti visive”? 

Ciro EspositoNon lo conoscete? 

Formazione classica, studia Edoardo e Scarpetta ed arriva da neanche adolescente ad interpretare in “Io speriamo che me la cavo” di Lina Wertmuller il ribelle e cresciuto in fretta Raffaele Aiello, da allora serie e miniserie, film, soap e telefilm per la televisione, ma anche artista visivo, perché negargli la possibilità di sondare la conoscenza di sé oltre la rappresentazione e l’interpretazione di un ruolo scritto da alti? Come un personaggio in cerca di autore, cerca di definire il suo ruolo in sospensione tra rappresentazione di arte e di vita, cercando di definire in autonomia la propria visione sull’arte per attingere alla vita.

Raffaele Ferrante, del trio “I ditelo voi”,

un ventennio di carriera di comicità ed ironia caustica, mettendo in scena una amara, grassa e grossa risata calcolata, faticate a immaginarvelo come un artista che concettualizza il suo lavoro? Provate a immaginare un comico incapace di concettualizzare la sua innata ironia per farne patrimonio linguistico condiviso che passa per il rituale della risata, un comico è sempre concettualmente un fine progettista di un rito collettivo che mira ad esorcizzare il malessere.

Stesso discorso (ma non stessa ricerca) lo si può fare per Mariano Bruno,

un iconoclasta di rituali e tradizioni popolari classiche e contemporanee, fotografate e messe in scena con i suoi happening, cosa dovrebbe fare un artista visivo se non amplificare con la sua visione critica del mondo i suoi eccessi e le sue idiosincrasie?

Carlo Capone

Provate a negare che la sua idea di percussioni fondata sul riciclo, non vada oltre il ready-made di Duchamp. La ricontestualizzazione dell’oggetto nella sua storia professionale, va ben oltre il contenuto estetico e semiotico, diventa funzionale, ritmica e organica all’ambiente, altro che Walter Gropius e Bauhaus. Non provate neanche a negare a Carlo Capone la dignità della ricerca di un artista visivo, Maciunas non lo farebbe e Cage neanche.

 

Concludo con il duo Dell’Aversana-Varavallo,

una coppia di arte e di vita, di formazione Accademica, partiti dall’Accademia di Belle Arti di Napoli, che hanno concluso con il massimo dei voti, come pensate vivano della loro arte? Si occupano tecnicamente di “Comunicazione” attraverso la Crearts, una web agency studio di comunicazione contemporanea.

Insomma a guardare quello che viene mostrato in “Dentro o fuori? Il doppio volto dell’artista dentro e fuori il sistema dell’arte” appare nitido che mentre le professioni dell’arte possono essere lavoro, l’arte della vita è innegabilmente ricerca di senso, ricordate Cocteau? 

“Bisogna essere uomini in vita e artisti postumi”.

Aveva capito tutto dell’arte e della vita.

Testi di Mimmo di Caterino

PAN Palazzo delle Arti Napoli

Sito nello storico Palazzo Carafa di Roccella in via dei Mille, il PAN – Palazzo delle Arti di Napoli è un museo della città. Ospita anche importanti esposizioni di arte contemporanea. Nei suoi oltre 6000 mq offre spazi espositivi, di consultazione, servizi e strumenti per l’incontro e lo studio delle opere e dei protagonisti dei linguaggi e delle forme dell’arte contemporanea.