Pillole

Bisognerebbe partire dal perché

Bisognerebbe spiegare non tanto quello che facciamo o come lo facciamo ma chiedersi e motivare il perché lo facciamo.

Bisognerebbe cercare e tenersi strette le motivazioni che muovono il nostro lavoro perché queste sono direttamente collegate al nostro stare al mondo.

Non può essere solo una questione di soldi.

Se fosse così saremmo come il wc d’oro di Cattelan: bello, funzionante, pesante, ricco, da vendere, rubare ed esporre, prezioso, forse unico, ma sempre e comunque vuoto.

I coraggiosi

Quando senti il pavimento sgretolarsi sotto i piedi, guardarsi attorno e scoprire che non sei solo può essere confortante, ma, restare immobile, non ti salva la vita.

Muoversi per mettersi al sicuro in spazi più soldi e ancorarsi verso chi si trova lì per te non significa essere vigliacchi.

I coraggiosi sono quelli che conoscono i propri limiti e che, nei momenti difficoltà, sanno quando chiedere aiuto.

Questo è quanto ho imparato. Questo è quanto insegno ai miei figli.

Come riusciamo a confermare le partnership?

Disponibilità personale, qualità professionale e risultati concreti possono essere gli elementi che compongono una partnership da consolidare nel tempo. Il fatto è che possiamo essere i più bravi, i più competenti e i più disponibili, ma quando smettiamo di offrire quello di cui hanno bisogno viene meno la fiducia, la serenità lavorativa e poi la partnership.

Le persone che scegliamo di servire hanno bisogno di noi, della nostre capacità, delle nostre competenze, della nostra esperienza e soprattutto del nostro cuore.

Ascolto, dedizione e soluzioni concrete sono un buon modo per dare ai nostri referenti quello di cui hanno bisogno. Un fare che è parte del nostro lavoro. Amiamolo e ameremo la vita che abbiamo scelto di vivere.

A volte ci capita di sbagliare, errare è umano, ma quando è ripetuto nel tempo è sintomo di disamore che è sinonimo di inefficienza.

Afferriamo l’opportunità di fare con amore il lavoro per il quale abbiamo accettato la chiamata. O prendiamoci la responsabilità di ammettere che non siamo fatti per il nostro lavoro.

Se scegliamo la prima versione di noi, possiamo adoperarci per essere utili e costruire partnership di successo.

Il lavoro più importante (riflessione ad alta voce)

Mio padre era un poliziotto di strada. È stato sovrintendente capo. I suoi gradi li ha ricevuti per meriti, rischiando la vita ogni giorno. Da piccolo pensavo che fare il poliziotto fosse il lavoro più importante del mondo.

Poi, verso i quattordici anni, mi sono appassionato al disegno e poi alla pittura. A ventiquattro, terminata l’Accademia di Belle Arti, mi sono trasferito a Torino e ho scoperto che, il più delle volte, giacca e cravatta contano più di quello che dici.
Facevo il venditore porta a porta, un lavoro poco importante. In strada, tra un contratto e l’altro, ricordavo con nostalgia di quando ero ragazzino e le giornate di lavoro con i miei zii.

I lavori più importanti si fanno sudando. Nei lavori più importanti ci si sporca le mani. Pensa al chirurgo, all’infermiere, al muratore, all’agricoltore, al pittore e allo scultore, all’artigiano e al poliziotto.

Poi ci sono quelli diversamente importanti.

Pensa al padre o alla madre che, non avendo scelta, lavorano sottopagati sette giorni su sette. Pensa ai licenziati sostituiti da sistemi che ottimizzano i costi. Pensa al lavoratore morto sul lavoro, che di bianco ha la pelle e quella dei suoi cari dopo la notizia.

Il poliziotto, soprattutto quello di strada, è un lavoro per il quale si rischia la vita, mio padre lo sapeva e un po’ anche noi. Se lo vedi uscire ogni giorno con la pistola, te li fai due conti. Ma gli altri?

Su cadutipoliziadistato.it si legge che dal 1981 al 2023 sono morti 456 poliziotti. Escludendo questi, da anni sappiamo che in media muoiono 3 lavoratori/lavoratrici al giorno. Più di 1000 morti l’anno.

Qual è il lavoro più importante?

Diventare cosa vogliamo essere facendo

Possiamo imparare a scrivere ma non è detto che saremo degli scrittori. Possiamo imparare a disegnare e a dipingere, possiamo perfino definirci pittori o scultori, ma non è detto che saremo visti come artisti. Possiamo imparare a suonare la chitarra, il piano o il sassofono ma non è detto che saremo dei musicisti. Possiamo nascere con una bella voce, perfino avere le corde vocali di un basso puro, ma non è detto che riusciremo un giorno a cantare al San Carlo.

Possiamo essere quelli che siamo e non è detto che possiamo essere quelli che vogliamo essere. Ma siamo noi! Nello spazio che separa il fare dall’essere o l’essere dal fare ci siamo noi e nessun altro. Un noi unico è distinguibile che, seppur estraneo dalla notorietà, trova nell’espressione dell’essere il vero successo.

Poi ci sono casi nei quali l’espressione del proprio essere ci apre percorsi che mai avremmo potuto immaginare. Van Gogh, in una delle 668 lettere spedite al fratello Theo scrive: voglio che la gente dica delle mie opere … sente profondamente, sente con tenerezza. Van Gogh ha realizzato più 900 opere e incalcolabili disegni. Nei suoi 10 anni di attività ha prodotto, in media, un’opera ogni 36 ore. Un fare instancabile che è espressione di sé.

Maud Lewis (della quelle potete trovare il film su Netflix) è un’artista canadese che, in estrema povertà e con un artite reumatoide giovanile, dipinge instancabilmente su qualsiasi superficie, diventando, subito dopo la sua morte, una delle artiste meno famose ma più incisive del 900. Maud ha venduto per anni i propri lavori a pochi centesimi e solo tra il 1945 e il 1950, oramai nota ai più, le persone si fermano sulla Highway al civivo 1, il luogo dove abitava, per acquistare le sue opere a 7, 9 dollari.

Maud Lewis è stata un’artista che ha lavorato tantissimo perché aveva necessità di farlo. Il suo fare era l’espressione del suo essere. Il suo modo di essere è stato anche farsi trovare lì, al suo indirizzo, nel luogo dove le persone si fermavano per acquistare le sue opere.

Dopo l’esplosione nel porto di Beirut del 4 agosto 2020, un’anziana signora si siede al piano ed esegue Auld Lang Syne: canzone tradizionale scozzese. Nel 2022 a Kiev, una donna rientra nella casa bombardata per suonare il suo pianoforte.

Non possiamo sfuggire da quello che siamo. Quando il tutto ci appare incasinato, quando quello che ci circonda ci appare distrutto, quando la nostra vita sembra sgretolarsi dal pavimento, dobbiamo continuare a fare quello che amiamo fare e farci trovare al nostro posto, sensibilmente reattivi e ordinariamente proattivi.